lack Comedy di Peter Shaffer
Brindsley Miller, uno scultore spiantato e squattrinato, e la sua nuova fidanzata snob attendono, nella casa di lui, due visite per loro “fondamentali”: quella del padre di lei che deve dare l’assenso al matrimonio e quella di un ricchissimo collezionista che potrebbe fare la fortuna dello scultore. Per rendere più accogliente il modesto appartamento, i due hanno “preso in prestito” dal vicino, un antiquario partito per il week end, mobili e soprammobili di cui lui è gelosissimo. Un black-out improvviso mette tutto a repentaglio: l’appartamento si riempie di persone sbagliate nei momenti sbagliati, dando origine a spassosi incontri/scontri. Arriveranno infatti nell’ordine: una vicina astemia terrorizzata dall’oscurità, il padre della ragazza che è un irascibile colonnello, il vicino antiquario gay rientrato in anticipo, la precedente fidanzata dell’artista che non sa che lui sta per sposare un’altra, un operaio della compagnia elettrica che parla con accento tedesco e viene scambiato per il ricco collezionista. E alla fine, atteso come Godot, arriva il vero miliardario, causa di nuovi esilaranti equivoci.
Una commedia recitata “alla cieca”
Scritta nel 1965 dall’inglese Peter Shaffer, uno dei drammaturghi più costanti nelle hit parade di tutto il mondo (basti ricordare i successi di Equus e di Amadeus), Black Comedy arrivò sui palcoscenici italiani nel 1967 per la regia di Franco Zeffirelli e l’interpretazione di Giancarlo Giannini e Anna Maria Guarnieri. Dopo quarant’anni (nel 2007) è stata ripresa con grande successo dalla Compagnia Attori & Tecnici, i primi ad aver proposto in Italia Rumori fuori scena, a cui Black Comedy in parte si apparenta per il ritmo scatenato e la sapiente orchestrazione.
Si tratta di una commedia esilarante dove i protagonisti si ritrovano completamente al buio a causa di un improvviso black-out, ma il pubblico li vede in piena luce “brancolare nel buio” come potrebbe accadere in un appartamento immerso nelle tenebre; al contrario, a black-out non ancora avvenuto (prima scena), gli attori si muovono al buio. E quando (di rado), per fare luce, verranno accesi fiammiferi, candele, torce… dal chiarore quasi accecante del “buio” si passerà ad una leggera penombra.
L’alternanza di buio e luce è il leitmotiv della commedia di Shaffer; in questo gioco del testo che non ammette deroghe, gli spettatori sono in una posizione di privilegio (in quanto “in luce”) rispetto ai personaggi che sono costretti a muoversi nel buio. E nel buio è tutto un frenetico susseguirsi di equivoci, tormentoni, scambi di identità: un parapiglia di grande coralità, con gli interpreti cui spetta il difficile compito di sincronizzarsi in movimenti millimetrici per eseguire una partitura dalla quale scaturiscono straordinari effetti comici.
Pur attraverso una commedia recitata “alla cieca”, a tentoni e a spinte, dal ritmo strabiliante e dalla comicità intelligente e graffiante, Shaffer ci presenta la metafora di un’umanità che annaspa, inciampa e farnetica.
Il testo e la sua messa in scena ci offrono lo spunto per alcuni interrogativi e, al tempo stesso, per una chiave interpretativa:
Quanti equivoci possono nascere dal non vedersi?
Quante maschere cadono pensando di non essere visti?